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Channel: campagna – Vino al Vino
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Cari Amici Vignaioli

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Un appello, a quelli che vignaioli lo sono davvero, da una donna che in campagna pensa e vede lontano 

Come recita la formula di rito, ricevo e molto volentieri pubblico. Oggi però non posso limitarmi a questo, ma devo innanzitutto, ringraziandola per i suoi preziosi contributi che danno lustro a questo blog, fare gli auguri all’autrice, Silvana Biasutti, una donna saggia che in campagna, dove vive, e che campagna, Montalcino!, pensa e vede lontano, che oggi compie gli anni (un compleanno importante, auguri!) e sottolineare ancora più con forza che concordo, totalmente, con quello che dice. Questo suo appello ai Vignaioli, a quelli veri, che spero gli amici della Fivi raccolgano (mi raccomando presidentessa Matilde Poggi, forza cari soci!) a non farsi mangiare nel piatto né bere nel bicchiere è il mio. Senza riserve, senza sé ne ma. Perché si dica Vino al vino e vignaiolo ai vignaioli, quelli veri, non quelli presunti, furbetti saliti sul carro, o vignaioli di plastica!

Vivo per la maggior parte del mio tempo in campagna; in una campagna un po’ speciale, certamente privilegiata (arcinota per il vino rinomato che vi si produce). Vengo da lontano, ho buona memoria e ho chiaro il ricordo di prodotti, situazioni, mercati e consumi.

Vengo da un’Italia antecedente quella recente della crescita perenne, in cui persino il giornalismo più impeccabile scriveva che si doveva costruire – sempre di più – fatturare – sempre di più – e naturalmente consumare – sempre di più. L’Italia del ‘più grande è più bello’, in cui un amico economista mi predicò un giorno che a Montalcino bisognava accorpare le aziende e i vigneti, per razionalizzare il lavoro dei trattori, risparmiare sulle ore lavoro e così migliorare il MOL.

Non sono andata a Vinitaly, quest’anno: troppo faticoso (ma nemmeno sono stata a Cerea); ho letto, su questo blog e su molti quotidiani le critiche e i commenti – che sui quotidiani sono più favorevoli e più legati al contorno, al mondo che gira intorno al vino e che ogni tanto mi dà l’impressione che rischi di soffocarlo –; leggendo i quotidiani però ho dovuto anch’io sorbirmi il presenzialismo della politica – uomini e voti – e dei politici che, come certi imprenditori, certe star del giornalismo, certi artisti, “tengono vigna”.

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C’era un tempo in cui un imprenditore si comprava un giornale, ora pare che faccia più fino avere vigna; fino a poco tempo fa soprattutto vigna in Toscana, ma siccome gli amici toscani – sommamente i politici – non portano occhiali, il mito della Toscana, che è al suo apice, rischia anche di essere un po’ eroso … ma forse è solo una mia personalissima sensazione, che mi auguro sia smentita.

In ogni caso, Toscana o Piemonte, Sicilia o Friul, o Veneto, o Campania (meravigliosa) o Puglia, o Val d’Aosta eccetera, noi viviamo in un paese che si è pure chiamato Enotria: e ci sarà un perché, e il vino che quando ero giovane – e andavo la sera al Praticello o alla Magolfa con gli amici (e ci trovavo addirittura la Franca Valeri) – era una brodaglia che chiamavano barbera (svillaneggiando la Barbera vera) e invece ora è diventato quello che voi sapete – in prima persona – e quello che pubblici anche molto diversi tra loro, credono sia.

Quello che intravedo, mica tanto tra le righe, è l’avvento di un liquido magico che quasi tutto può, incluso il risorgere dell’italica economia. Tutto concorre alla crescita del mito e probabilmente anche del fatturato. Quello che vedo molto chiaramente è l’affluenza di interessi (alcuni interessanti, altri interessati), di uomini, risorse e inevitabilmente anche dei “nani e ballerine” di contorno.

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Quello che invece pensavo di non vedere ancora era l’esplosione dell’interesse per “il naturale”, se mi passate il termine, cioè per quel mondo dei vini che voi definite in modi variegati – naturali, bio, biodinamici, a mano, artigianali, e così via –: insomma i vostri vini e quelli adiacenti che non stanno nelle definizioni, ma sono frutto di uno sguardo speciale per la terra. Avete lavorato tanto, avete lavorato bene, avete discusso, vi siete confrontati e continuate a farlo. Spesso leggo, o sento, di divisioni, distinzioni, specificazioni e polemiche varie; ma i vostri distinguo mi importano poco, perché io so che c’è un fattore che vi accomuna e vi distingue davvero, ed è la passione per la terra e per il vostro lavoro. Una passione che è diventata evidente (grazie a voi), che è diventata “tendenza”, quindi appetibile da parte di chi è interessato a cavalcare ciò che va e a usarlo – massificandolo e facendone carne di porco – unicamente per soldi.

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Dato che ormai la comunicazione più efficace per certi generi passa per il “bocca a bocca” (la testimonianza personale vale anche per i libri e per i consumi culturali in genere), con il vostro attivismo quotidiano e con la testimonianza continua del vostro lavoro, avete davvero creato un grande capitale di conoscenza e di “segnali”; sono venuti giornalisti e clienti a vedere il vostro lavoro, avete, e hanno, scattato foto, raccolto racconti e storie singolari, si è andato creando uno “stile della verità” che commuove – cioè muove – il popolo dei consumatori sempre più alla ricerca di valori naturali.

Oggi si tratta di consumatori un po’ stanchi degli imbonimenti, delle mezze verità, delle imitazioni, dei racconti fasulli, delle infinite “fattorie” che negli anni gli hanno raccontato storie di una campagna con le scarpe impeccabili, i cargo alla moda, i golfini annodati con nonchalance su spalle che si erano chinate poco o niente sulla zolla fradicia a stralciare, a legare, a scavallare, e a fare tutte quelle cose che ho visto – basita dalla delicatezza e dalle innumerevoli difficoltà – fare in una vigna.

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La particolarità del capitale che avete creato con il vostro lavoro e con il vostro modo di raccontarlo sta nel non essere “narrazione” di politicante memoria, bensì vera testimonianza; e che testimonianza! Perché quali funamboli di un circo magico, voi passate dalle operazioni nel campo, tra i filari e sotto il cielo mutevole, alle anticamere nelle banche, dalle fiere alle serate cittadine in cui siete capaci di raccontare a quelli che una vigna l’hanno vista solo a bordo campo, come pensate (e fate) il vostro vino; voi passate dall’impegnativo lavoro in cantina alle code dietro infiniti sportelli a cui vi obbliga una burocrazia che ogni volta promette semplificazioni e poi si inventa qualche nuovo balzello e nuovi “adempimenti”.

Chi sa come funziona davvero la comunicazione e ne conosce la sintassi, è consapevole del valore che ha un’affermazione sostanziata dai fatti e verificabile, ma sa altrettanto bene che i segni possono essere imitati, le parole confuse ad arte – usando quelle più suggestive per chiamare qualcosa che è simile ma non è sostanzialmente identico.
Cosaseria

Chi ha seguito la cronaca di queste giornate del Vinitaly (e chi legge regolarmente le pagine dedicate al vino sui grandi quotidiani) non può non essersi accorto del percettibile spostamento da una retorica da wine bar (con foto eleganti) a un affaccio (anche più manierato) nel vostro mondo, con tutto ciò che questo avvicinamento implica.

Mi immagino questa oscena osmosi, perpetrata da chi nel vostro fare vede solo l’ennesima occasione di arricchimento fregandosene di tutto il resto – cominciando da terra, lavoro e vino stesso – colta come l’opportunità da non perdere per convincere un mercato in cui gli appassionati competenti e curiosi sono la minoranza, mentre abbondano (è inevitabile) gli orecchianti, i vogliosi di esserci, quelli a cui hanno detto che, o gli altri che hanno un amico che sa tutto del vino.
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Tutto un mondo con un palato ingenuo e tanta voglia di provare un “vino naturale” (o bio, o qualcosa di simile), perché ne sentono parlare e perché – in un mondo in cui la terra (intesa come luogo coltivabile) sta diventando rara (anche se ancora non se ne parla in questi termini) – l’aggettivo ‘naturale’ attribuito al nutrimento (perciò anche al vino) gli conferisce un valore che voi conoscete bene, perché lavorate come matti per produrlo e che agli altri suona maledettamente bene. Forse la sollecitudine con cui a Roma, anni fa, hanno imposto a un’enoteca di togliere la definizione “vini naturali” dagli scaffali, è stata uno dei primi segnali di un’attenzione a quello che stava diventando un comparto interessante.

Ma le parole vengono shakerate dai media e quello stesso aggettivo (“naturale”) verrà piano piano fatto scivolare anche su vini (e cibo) che appartengono a un contesto diverso e ambiguo: quello di quelli che hanno a cuore unicamente il fatturato, a qualsiasi costo; e la “narrazione” di questa poetica della terra è appunto un’occasione da non perdere, per “aggiungere valore” – espressione che può anche essere astratta, cioè senza significato se non quello di “aumentare il prezzo”, unicamente usando un “naming” –. Circolano già esempi di questo tenore nelle principali città italiane.

Conosco molto bene questo fenomeno – fare grandi numeri con prodotti che ne orecchiano altri e ne imitano il nome suggestivo o la definizione, senza ritegno – ; il problema però è che più si usano le vostre parole per prodotti e valori che imitano i vostri, più viene saccheggiato il patrimonio creato con il vostro lavoro.

In agricoltura – divenuta territorio di scontro politico – basterà usare le dinamiche che la politica mette in atto per sospingere i cittadini di qua o di là, assecondando gli interessi di realtà magari multinazionali, magari amiche, magari testimoni dell’interesse “che il nostro paese è di nuovo capace di suscitare”, per inventare regole, creare norme “a tutela del consumatore”, proibire questo e quello, lasciando che del vostro lavoro resti più che altro la “narrazione”, affidata a chi ha mezzi e accessi per darle voce affinché diventi il jingle di un’idea di terra, natura e lavoro, più che altro di facciata – massificata –. Insomma un format, quasi un reality, con qualche Paperone, che senza essere altrettanto simpatico, si attribuirà l’esclusiva dei valori (grandi e non banali) da voi creati.

bollaciao

È un giochino facile, quando i consumatori non sono – non possono essere – veramente competenti (ancora oggi ci sono ristoranti in cui ti chiedono se il vino lo vuoi rosso o bianco); può succedere quando nel crescendo di attenzione per un mondo fino a ieri lontano dalla terra, le parole ‘chiave’ scivolano via, sgusciando dalla realtà alla sua imitazione formale.

Non è qualcosa che accade di botto; è qualcosa che avviene poco a poco – in modo strisciante – che corrode una bella realtà come quella dei vostri campi, ma anche il futuro di tutti, incluso quello di grandi produttori di grandi vini, tra cui i più attenti guardano (giustamente) con grande attenzione e interesse al vostro lavoro, così importante anche per il loro, in un tirarsi la volata reciproco.

Non è qualcosa che accade di botto e non è nemmeno qualcosa di pubblicitario come la fiaba del Mulino Bianco, che non ha mai preteso di sostituirsi ai piccoli produttori artigianali di prodotti da forno.
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No, io vedo la prossimità di un’altra frontiera, in cui si mescolano politica e business: la visualizzo proprio in concomitanza con i successi (soprattutto con quelli d’immagine) del vino; vedo quest’ultimo divenire il carburante per nuovi slanci nazionalqualcosadinuovo. Ed è vero: il vino ha in sé quella carica erotica e trasgressiva che può dare uno slancio nuovo all’economia: non tanto per (il pur cospicuo) volume d’affari, ma proprio per ciò di cui è portatore: valori che invitano all’ottimismo e quel po’ di ebbrezza (lieve, si spera) di cui abbiamo bisogno in questo momento. Ma non deve accadere a vostre spese; né a spese del vostro capitale d’immagine – costruita non sulle parole, ma con il vostro lavoro e con sacrifici personali –; né deve danneggiare la vostra poetica.
FiviVinitaly

Per questo scrivo; perché penso che nei vostri vini ci sia un bel po’ di futuro, ma dovrete essere capaci di stare in contatto con un consumatore (o chiamatelo come più vi piace) che deve imparare il vino, per conoscerne le differenze (e apprezzarle), per valutare e scegliere con sempre maggiore autonomia. Un consumatore che deve farsi un gusto, senza spintonamenti e senza manifesti politici, senza normalizzazioni di qualche mosca del capitale che si impadronisca del vostro, diventando contadino per finta.

Diffidate delle imitazioni!
Silvana Biasutti

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Attenzione!: non dimenticate di leggere anche Lemillebolleblog
http://www.lemillebolleblog.it/  e il Cucchiaio d’argento!


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